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lunedì 17 ottobre 2016

I compiti della scuola

Compiti si o compiti no? Qual è il modello di una “buona scuola” che ci traghetterà oltre questo inizio di millennio che sembra interminabile? In quanto insegnante mi sento chiamato in causa nel dibattito, soprattutto dopo aver letto diverse banalizzazioni.
La prima considerazione da fare è che la scuola negli ultimi anni è cambiata. Si è adeguata ai tempi? Forse, di certo l'idea che la società italiana ha dell'aula non è la stessa di qualche anno fa, e la questione dei compiti è solo la punta di un iceberg.


Cominciamo dal principio: cosa sono i compiti e perché si danno? Chiunque abbia un'esperienza anche solo di scuola dell'obbligo si rende perfettamente conto che partecipare attivamente ad una lezione (si badi che non parlo solo di “ascoltare in silenzio”, che è molto riduttivo) significa assicurarsi almeno il 60% del successo scolastico. Dico questo essendo stato io non proprio uno studente modello, ma con discreti risultati, proprio grazie alla mia partecipazione in classe.
Tuttavia in molti casi l'esercizio che si riesce a fare in aula non è sufficiente ad assicurare quella “digestione” di certi argomenti che si può fare solo scontrandosi personalmente con le difficoltà; perciò si danno compiti a casa.
Un insegnante deve trasmettere un metodo, indicare la via, poi alcune situazioni devono essere risolte autonomamente dallo studente. Con i giusti incoraggiamenti ed un impegno assiduo, anche gli studenti apparentemente meno capaci ci sorprendono (parlo per esperienza).

Ecco che veniamo direttamente al punto: la vita è piena di questioni di difficile gestione, davanti alle quali noi stessi proviamo l'ansia di non riuscire a scioglierle e la frustrazione in caso di fallimento. I bambini sono già sensibili a questi due demoni, a volte trovandosi completamente disarmati per combatterli. Man mano che crescono, l'entità dei problemi si ingrandisce, la capacità di risolverli, spesso, no.
Ho studenti di prima media già terrorizzati dall'esame della terza, che noi insegnanti vorremmo il più completo possibile. Il risultato è l'esame con il maggior numero di prove tra tutti quelli che mai sosterranno nella vita. Non esiste alcun concorso pubblico che ne abbia tante: quattro scritti, due test nazionali, un orale, più, naturalmente, la valutazione del percorso svolto. Come se non bastasse, c'è il rapporto con noi insegnanti da gestire, a volte conflittuale a volte troppo amichevole. Senza un minimo di autonomia nel lavoro, l'ansia e la frustrazione la fanno da padroni.

Quindi c'è strutturalmente qualcosa che non va, non è solo una questione di compiti. La scuola serve a prepararsi alla vita. Ci chiediamo come sarà la vita dei nostri ragazzi? Come vogliamo che sia la società?
Se vogliamo che una società di liberi cittadini, con un senso critico, a scuola si deve fare tanto esercizio di lettura di testi, studio di storia, allenamento del pensiero logico-razionale e artistico, e confronto con gli altri. A scuola ci si deve imparare ad esprimere, ma anche a risolvere problemi tecnici, perché anche ad uno scrittore un giorno potrebbe otturarsi un lavandino, così come anche un tecnico avrà necessità di leggere e capire un contratto di lavoro.
Perfino interpretare un prezzo, una percentuale, una pubblicità, un parere letto su internet… sembra tutto immediato, ma non è così. La scuola deve sforzarsi di essere interessante, ma non facile, altrimenti non aiuterà ad affrontare la complessità del nostro tempo e del futuro.

Ecco che a volte, concedere ai propri figli di non fare i compiti è normale da parte di un genitore, anzi è pure sano. Ma è altrettanto vero che un atteggiamento del genere non può diventare sistema, perché non sarebbe educativo, né gli gioverebbe veramente.
La scuola è una cosa seria, va difesa e curata, da parte di chi ci lavora e da parte di chi ne usufruisce. Lavoriamoci insieme, ma ciascuno col proprio compito.
Una scuola buona (mi si perdoni se non dico “buona scuola”) deve tenere conto di ciò di cui ha bisogno la società e aggiornare i suoi insegnamenti. Ma l'alleanza scuola-famiglia non deve vacillare, perché fa male soprattutto agli studenti.

1 commento:

  1. Ottima analisi, acuta e puntuale, che porta il tema fuori dalla palude della banalizzazione, purtroppo estremamente frequente. Ritengo che sarebbe opportuno che i docenti esplicitassero alle proprie classi il senso dei compiti a casa, dato che oggi niente è più scontato, anzi tutto viene messo in discussione (a proposito e a sproposito). Se il docente spiega il senso del lavoro a casa, offre agli studenti e ai genitori una chiave di lettura per comprendere l'utilità del sacrificio richiesto, rendendolo, se non più leggero, certo più accettabile. Mi capitava di leggere una riflessione analoga a proposito dei vaccini, che sono stati messi in discussione in maniera imprudente, tanto che, purtroppo, sono in aumento i casi di bambini morti a causa della pertosse (!): si suggeriva ai medici di ricominciare a parlare con i pazienti, spiegando loro senso delle terapie (per esempio contro il cancro) e, appunto, dei vaccini. Ecco, forse è proprio il momento di riprendere a dialogare e a spiegare il senso di ciò che si fa per recuperare il buon senso e non disperdedere il patrimonio di conoscenze ed esperienze accumulato fino ad ora. Monna Lisa

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