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martedì 25 aprile 2023

I colori del Fiore del Partigiano

Nel 2019 il sindaco di Desio Roberto Corti precisò che il 25 Aprile «non è un derby tra questo e quello, e soprattutto non è un giorno di festa a tema libero. Chi lo dice, nega o ignora la storia ma soprattutto offende la memoria di chi ha perso la vita per la libertà, offende le istituzioni, offende il popolo italiano». A chi vuole invece mistificare la celebrazione della Liberazione d’Italia dalle forze nazi-fasciste, vedendoci una contrapposizione tra due sole forze, domando: che colore aveva davvero il “fiore del partigiano”?



Senz’altro ROSSO, colore prevalente delle brigate comuniste e socialiste; alcuni di loro sognavano, una volta liberato il paese, di fondare una repubblica socialista, che fosse nell’orbita sovietica o che fosse indipendente (come lo è stata poi la Jugoslavia); altri combattevano per una repubblica democratica a tutti gli effetti.

Il BIANCO, come le brigate cattoliche, che insieme a molti membri del clero si erano adunate in nord Italia contro le violenze dei miliziani della Repubblica di Salò, e che in Carnia e in Val d’Ossola riuscirono a costruire i primi piccoli modelli di Italia repubblicana in un paese occupato.

Il VERDE, come le Fiamme Verdi, un sottogruppo di partigiani cattolici guidato da personalità che avrebbero avuto un ruolo determinante nella fondazione repubblicana del Dopoguerra (uno su tutti Enrico Mattei).

L’AZZURRO, come i monarchici badogliani, cattolici conservatori di destra, piemontesi e fedelissimi alla Corona sabauda, che vedevano in Umberto II la guida per ricostruire il Regno d’Italia dopo la Guerra.

Il NERO, quello dei partigiani d’oltremare, etiopi, somali ed eritrei, accolti nel Battaglione Mario, gruppo a vocazione internazionalista.

Il ROSA, quello delle migliaia di partigiane che combatterono insieme agli uomini sulle montagne e nelle città, rivestendo ruoli più diversificati e spesso correndo più pericoli dei loro compagni maschi.

Tutti quelli della variopinta galassia di gruppi e movimenti autonomi che lottarono in maniera più o meno coordinata contro l’oppressore nazi-fascista, da nord a sud.

C’erano alleanze e rivalità, possibilità di accordo e momenti di scontro, sospetti, fraintendimenti e spesso una gran confusione su come organizzare la nazione che sarebbe sorta dalle ceneri della guerra e della dittatura: quali confini, quale ordinamento, quali alleanze poteva avere? Le contrapposizioni sono state anche violente, ma, come ci viene insegnato, la rivoluzione non è un pranzo di gala e non si fa con coltello e forchetta. Su una cosa sola erano tutti concordi: erano antifascisti.

L’Antifascismo perciò appartiene a tutte le forze democratiche. Nell’Antifascismo c’è spazio per tutti, da destra a sinistra, perché Antifascismo è sinonimo di democrazia. Nel Fascismo c’è stato spazio solo per chi si dichiarava fascista: gli altri hanno fatto una brutta fine. Nello spazio democratico antifascista, paradossalmente, fin quasi da subito c’è stato posto persino per le forze neofasciste, che invece hanno continuato ad avvelenare il dibattito pubblico, sputando nel piatto dove mangiavano, invocando una libertà di parola a cui hanno avuto pieno accesso senza avere in realtà mai fatto nulla per meritarla, mentendo e mistificando la narrazione storica. Eppure sono ancora là, in nome di una libertà di espressione, che riesce a garantire parola anche a chi la usa per scopi illiberali. Ecco perché l’Antifascismo è diventato garanzia per tutti, anche per quelli che in un contesto differente forse non avrebbero goduto della stessa dignità.

Buona Festa della Liberazione a tutti e tutte.

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