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domenica 27 febbraio 2011

Libertà di educare alla libertà

Si può educare alla libertà? Il problema è annoso e più profondo di quanto oggi possa sembrare. Viviamo in un momento di crisi dell'educazione, sovrastata dalla comunicazione di massa. Tuttavia non possiamo più permetterci di trascurare la questione educativa, perché la società e l'individuo affondano le proprie radici proprio lì.
Riuscire a capire il significato delle parole (diceva Don Milani) ci permette di comprenderle davvero, quindi essere liberi: etimologicamente la parola educare è l'opposto di insegnare. L'educazione è l'atto del tirare fuori, quello che Socrate chiamava maieutica, in riferimento al lavoro delle ostetriche. Al contrario, insegnare (non così diverso da insignire) significa imprimere un segno. In entrambi i casi bisogna stare bene attenti all'obiettivo: tirar fuori verso dove? Imprimere quale segno? Timidamente qualcuno ricomincia a parlare coerentemente di libertà, ma qui il cerchio si chiude: si può educare alla libertà?


L'educazione è apparentemente in contrasto col principio di libertà, poiché è un rapporto impari, che si avvale anche di strumenti coercitivi. Proprio per questo può essere esercitato soltanto in determinate fasi della vita e a precise condizioni. La condizione fondamentale è il consenso, cioè la fiducia profonda nei confronti dell'educatore. Questo vincolo si deve sviluppare in tutte le fasi di crescita, perché la capacità di scelta interviene già da bambini, che sono perfettamente in grado di distinguere un educatore credibile da un educatore non credibile.
Non è semplice sviluppare questa condizione. Nell'epoca in cui viviamo, i ragazzi si trovano al centro di talmente tante comunicazioni che un insegnante può essere facilmente contraddetto o corretto o smentito dai suoi stessi studenti. Bisogna sempre tener presente che i ragazzi imparano molto di più dalla rete di informazioni che li circonda che non da tutte le nozioni che ricevono a scuola. Ecco perché un insegnante deve essere in grado non tanto di somministrare informazioni (insegnare), piuttosto di fornire allo studente gli strumenti per orientarsi autonomamente nella rete comunicativa (educare). Tali strumenti sono senz'altro le conoscenze, ma ancora di più le competenze.
Dalla metà del secolo scorso già si cominciava a comprendere questo e personaggi della levatura di Lorenzo Milani o Gianni Rodari hanno cominciato ad applicare attivamente questi princìpi nelle loro esperienze scolastiche. Volendo allargare l'orizzonte, si può vedere una progenitrice delle loro intuizioni in Maria Montessori, che dedicò la vita a pensare e vivere un nuovo modello educativo. Questi esempi sarebbero stati vani se non fossero stati supportati dall'impegno di migliaia di insegnanti che pazientemente e silenziosamente da sempre cercano di portare avanti questo modello di scuola, ponendo al centro del rapporto educativo e dell'insegnamento la persona.
Mi lascia sgomento come ci sia chi non riesce ancora a comprendere la portata di tutto questo, ritenendo che tali personaggi abbiano proposto nulla più che una “didattica facile, che ha cancellato la capacità di studiare”. L'ultimo saggio di Paola Mastrocola, infatti, riconosce in questa pedagogia (tutt'altro che facile, posso garantire) la causa della crisi della scuola italiana, proponendo un'escalation che da Milani porta nientemeno che alla ministro Gelmini. L'importante, sottolinea, è riportare lo studio al centro dell'insegnamento, banalizzando in una frase la complessità di questioni che proprio allo studio sono legate.
Chi lavora assiduamente nella scuola sa bene quanti cambiamenti si sono susseguiti negli ultimi anni e di quanto il ruolo dell'insegnante sia stato messo in crisi. Le parole di Domenico Starnone alla trasmissione “Vieni via con me” sottolineano il momento difficile e ci fanno riflettere. La scuola cambia perché le generazioni cambiano, anno dopo anno. L'insegnante è in crisi perché, oggi più che mai, non è che una voce tra tante. Al contrario di quanto alcuni pensano, educare ed insegnare sono professioni complesse e il confine tra le due discipline è sempre più sfumato. Conoscenza, competenza, tecnica, ma anche credibilità, empatia e capacità di educare: ecco cosa si richiede ad un insegnante nel 2011. Tutto il resto sono provocazioni, che vanno accolte e raccolte come sfide, ma chi lavora nella scuola sa che si tratta sempre e comunque di semplificazioni. Quello che un insegnante deve fare è restare saldo per divenire modello credibile. Solo così si può rifondare la scuola, che diventi finalmente palestra di libertà.

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