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lunedì 4 ottobre 2010

Una scelta per Paolo e Miriam

In questi giorni sono vicino a due miei giovani amici che hanno avuto un diverbio. Riporto due nomi del tutto fittizi, naturalmente, perché quello che mi interessa mettere a fuoco non è la vicenda in sé, piuttosto il modo di affrontarla.
A Miriam era venuta l'idea di coinvolgere il suo amico Paolo in un piccolo progetto. Alla proposta, Paolo si è trovato spiazzato e mi contatta per un consiglio. La prima cosa che ho pensato, e che gli ho detto, è che in effetti la coppia era assortita in maniera strana, perché i due, pur conoscendosi da anni, hanno sempre avuto difficoltà di comunicazione tra loro. Tuttavia, ritenevo che non fosse nulla che con un po' di pazienza ed impegno (e magari un po' di aiuto) non si potesse risolvere. Il mio punto di vista -da “esterno”- era che la proposta sembrava interessante, sebbene difficile da realizzare. Così suggerisco a Paolo di pensare in primis se il progetto gli interessi, poi di occuparsi, su questa base, dei problemi con Miriam.


Pochi giorni dopo mi capita di sentire anche Miriam. Mi spiega la vicenda dal proprio punto di vista e mi dice che non se ne fa più nulla. A questo punto le domando cosa l'avesse spinta prima a rivolgersi proprio a Paolo, poi a desistere così in fretta: dalla risposta che mi dà inizio a meditare.
Miriam – Avevo pensato a Paolo, perché pensavo ci compensassimo, ma ora che mi ha risposto così non intendo proprio portare avanti il progetto con lui.
Paolo – Alla fine ho detto di no, perché me l'aveva proposto in maniera non soddisfacente, poi mi ha dato delle risposte che mi hanno fatto desistere.

Sulle prime sembrano risposte ragionevoli, ponderate in base alle difficoltà di comunicazione. Tuttavia il tono era amareggiato, piccato... offeso quasi! Come se la responsabilità del fallimento risiedesse esclusivamente nell'atteggiamento dell'altro, e le motivazioni personali non contassero nulla. Dall'esterno si potevano cogliere alcune sfumature: da un lato Miriam ha portato avanti un punto di vista del tutto teorico (simile al mio, con la differenza che lei era “interna”), dall'altro Paolo ha reagito, senza dar l'impressione di scegliere autonomamente.
Così, a Miriam ho chiesto se la sua motivazione fosse sufficiente a superare le -prevedibilissime- difficoltà con Paolo; e a Paolo se la proposta di Miriam gli interessasse, a parte le difficoltà di comunicazione. In nessun caso ho ricevuto risposta: che ci crediate o no, alla fine non sono riuscito a capire se il progetto che volevano seguire li coinvolgesse davvero. Pur avendo quasi “economicamente” soppesato le difficoltà, infatti, nessuno dei due aveva veramente compiuto un bilancio con se stesso, e con le proprie motivazioni. Probabilmente, l'epilogo che c'è stato era l'unico possibile, eppure mi domando: cosa ha mosso la decisione?

Negli anni delle ideologie e delle utopie, ciò che dava orientamento erano i grandi sogni di massa. Quando le ideologie sono crollate è rimasto superstite qualche progetto a guidare scelte personali. La base per giudicare un progetto, però, è differente da quella per un'ideale: al progetto si chiede di essere concreto e credibile. Poiché il progetto è legato a chi lo propone, lentamente l'attenzione si è spostata dall'idea alle persone. Come sentii dire ad un recente seminario sulla comunicazione nella Chiesa Cattolica, infatti, i valori della sincerità e della coerenza con se stessi guidano le scelte solo da una quindicina di anni, mentre prima la fedeltà ad un ideale scavalcava tutto questo.
Si è percepito, quindi, nel corso degli anni '90, uno slittamento dall'ineffabile utopia, alla persona reale, posta improvvisamente al centro della scena. Qualcuno cominciò a parlare di dominazione del relativismo e cercò di rimediare, rattoppando vecchi ideali senza preoccuparsi se corrispondessero veramente al sentimento popolare; senza cogliere, dunque, né insegnare l'importanza dell'individuo come centro gravitazionale e decisionale del XXI secolo. Questa mancanza di “educazione all'individualità”, ha portato profondo smarrimento, al punto che non si hanno neppure le basi per compiere piccole scelte: la reazione degli altri diventa l'unico appiglio concreto, tangibile. Come è successo a Paolo e Miriam.
È il definitivo smantellamento dell'individuo. Sia inteso come sé (non mi curo di ciò che voglio perché tanto è irrealizzabile, o troppo faticoso), sia inteso come altro (che diventa soltanto il mio specchio o il mio alibi).
La crisi economica di quest'epoca rispecchia perfettamente lo sconforto sociale in cui riversiamo: i pochi soldi non impediscono alla gente di sopravvivere (almeno in occidente), ma riducono di molto le basi per investire nel futuro. A livello sociologico, il sentimento è simile: prima di portare avanti un progetto, a prescindere da desideri ed aspirazioni, si valuta se dall'esterno ci sono appoggi, poi di conseguenza si procede, ma senza scegliere. Il problema è che adesso si sente forte la mancanza di scelte coraggiose.

1 commento:

  1. analisi interessante e condivisibile. Ormai in molti sono d'accordo nel ritenere che ci troviamo a vivere la conclusione di un'epoca, la cosiddetta modernità, e la sensazione generale è che tutto sia in crisi.
    Segnalo un bellissimo articolo di Alessandro Baricco dal titolo Il mondo senza nome dei nuovi barbari, che offre una efficacissima chiave di lettura dei tempi che stiamo attraversando.
    monna lisa

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