Diamo voce ai nostri "pensieri rampanti", come fossero frutti acerbi ancora appesi all'albero, in attesa di cadere.

venerdì 8 marzo 2013

Un piccolo gesto di gentilezza

Le storie delle donne che sono in carcere sono mille, almeno dieci differenti per ogni detenuta! Sono storie di donne "innocenti", incastrate da qualche uomo violento e tiranno, il cui nome tengono tuttavia tatuato sul dorso di una mano, sulla spalla, sul braccio. Donne che sperano quasi di restare in carcere, per non dover rientrare a casa, contese tra il padre e il marito, ma che allo stesso tempo vogliono disperatamente ritornare al caldo abbraccio del loro uomo. Donne povere, cariche di una complessità disarmante. Donne forti e fragili allo stesso tempo. La giornata di oggi la dedico a loro.


Carcere di Rebibbia: ore 9:00. Dietro al bancone del bar, la barista esegue con rapidità e precisione tutte le ordinazioni che le vengono date. Non avevo mai considerato quanta delicatezza potesse esserci nel fare un caffè o una cioccolata calda. Distrattamente stavo per pagarle il conto, ma il suo sguardo preoccupato mi distoglie da questa malsana intenzione. Guarda la mia mano come se fosse infetta. Dimenticavo un piccolo dettaglio: lei è detenuta, perciò non è autorizzata a maneggiare neanche una moneta da un centesimo. Mai. Il bancone divide due mondi, ma ancor di più la condizione civile separa le persone in maniera drastica. Ancora per una decina d'anni questa donna educata e gentile sarà costretta dietro quel bancone.
Un piccolo rametto di mimosa è per te.

Carcere di Rebibbia, ore 10:00. "Poi dicono che in carcere stanno male... e noi invece?". Colgo al volo le confidenze di un'agente di custodia. Non è semplice la vita in carcere, neanche per chi ci lavora. Lentamente si perdono i lineamenti amichevoli dal volto e si tramutano in un'espressione indifferente o in un sorriso beffardo. Non sai di chi fidarti, devi stare attento a quello che dici, c'è poco spazio per la tenerezza. Donne trasformate in grigi esecutori, dalle parvenze mascoline, girano goffe nei corridoi. Alcune ci provano a mostrare un poco di vanità sotto la divisa, ma altre assumono lo stesso aspetto delle pareti ammuffite e dei corridoi affumicati, dimentiche di essere donne, non tanto nell'aspetto, quanto nei gesti e nei pensieri.
Un piccolo rametto di mimosa è per te.

Carcere di Rebibbia: ore 11:00. Il personaggio più esuberante e più tenacemente femminile è U. Giovane madre di quattro figli, rimpiange i momenti in cui andava alle giostre con loro. Soprattutto perché sulle montagne russe si alternavano a fare un giro per uno! Quando non canta a squarciagola in corridoio, ti affibbia improbabili soprannomi e ci si ride insieme. Donna forte, che non vuole farsi vedere carcerata dai figli. Che sia veramente disposta a stare due anni senza vederli? Non oso immaginare la sua espressione il giorno che dovesse mostrarsi loro "captiva", lei che è sempre stata l'emblema della libertà. Cerco di imparare qualche parola nella sua lingua, ma poi ridiamo sulla mia pronuncia e sul suo italiano. Un giorno, pensierosa, mi racconta che è una giornataccia e che è preoccupata perché dovrà scontare vent'anni a Rebibbia. Parla con una faccia di pietra, lasciandomi una sensazione di impotenza totale. La sensazione che si prova quando un altro essere umano ti racconta una sofferenza così grande è indicibile, non si può che ascoltare in silenzio. Dopo un breve attimo senza parlare scoppia in una risata beffarda: "era uno scherzo!".
Le ho portato il testo di una canzone che parla della sua gente. Letto il titolo ha capito e mi ha restituito un sorriso sdentato pieno d'entusiasmo.
Un piccolo rametto di mimosa è per te.

Carcere di Rebibbia, ore 13:00. L viene improvvisamente chiamata da un citofono sguaiato che urla il suo cognome con voce gracchiante. È giorno di colloquio e finalmente suo fratello è venuta a trovarla dopo varie settimane. Lei ha circa cinquant'anni, espressione sempre malinconica; una vita dura alle spalle, fatta di povertà e di violenza (altrimenti non sarebbe lì). Quando ci siamo conosciuti mi ha detto che non bisogna giudicare le persone, perché nella vita non si sa mai ed è una lezione che mi porto dentro. Quando il citofono la chiama le si illumina il viso e corre verso il fondo del corridoio. Sparisce dietro una porta che si apre magicamente, azionata da una mano lontana e sconosciuta. Riappare dopo poco in lacrime: il fratello è stato mandato via d'urgenza a spostare la macchina, che aveva parcheggiata davanti ad un cancello. L'espressione di chi si sente abbandonata e dimenticata in un posto squallido è triste e dura da consolare. Le frasi sconnesse sono forti e parlano di dolore e di morte. Faticosamente si riesce ad asciugarle le lacrime, ma siamo certi che basterà allontanarci -noi liberi- perché scendano di nuovo copiose. Andiamo via con una sensazione di angoscia e di grande impotenza. Il giorno dopo la rincontriamo nei corridoi con una luce nuova sul volto. Al fratello era stato permesso in via eccezionale di rientrare subito dopo aver spostato la macchina. "Sciocca!", le dice bonariamente, "Non ti ho abbandonata, non ti abbiamo dimenticata, ti vogliamo bene!". Un sollievo di lacrime ad invadere gli occhi.
Un piccolo rametto di mimosa è per te.

Ogni donna in carcere mostra un volto diverso dal proprio volto più vero. Un volto scavato da sofferenze e dalla condivisione forzata della propria solitudine con persone sconosciute. Un volto che, nella prigionia, nasconde il proprio stato di donna libera. Forse un piccolo gesto di gentilezza può aiutarle a ritrovarlo e a ricordarsi come è fatto e come è bello.

Auguri a tutte le donne.

2 commenti:

  1. dopo aver letto queste storie non rimane molto da dire... se non che mi sono commossa, grazie.
    Ste

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  2. Bello lo sguardo di un uomo che osserva le donne con affetto e con rispetto, anche quelle "difficili", e sa porgere loro un gesto di gentilezza che riporta pace nel mondo di ciascuna!

    monna lisa

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