Diamo voce ai nostri "pensieri rampanti", come fossero frutti acerbi ancora appesi all'albero, in attesa di cadere.

domenica 6 marzo 2011

Con il tricolore nel cu...


Chissà quanti di voi, Lettori e Lettrici, starà completando il titolo di questo post con tre lettere o con due. Sarebbe interessante fare una statistica. Magari, se siete dimezzati/e anche Voi, come me, lo state completando sia in un modo che nell'altro. Questa volta però, mi dispiace deluderVi, c'è poco di dimezzato in quello che scriverò. E tengo a precisare che saranno tutte opinioni molto personali.
Il tam tam di questi giorni sull'argomento dell'unità d'Italia ha suscitato in me molte riflessioni, oltre che un forte senso di nausea. Immagino che quest'insistenza continua da parte dei media non abbia niente da invidiare all'insistenza spesso usata dalle strategie di propaganda di governi dittatoriali. E questa è una prima riflessione.
La seconda riguarda il contenuto dell'insistenza: l'unità d'Italia. Un contenuto certo innocente rispetto a quelli che volevano essere fatti passare dalle propagande di cui sopra, penseranno Alcuni/e. Ma ne siamo proprio sicuri?
Bhe sì! Mi risponderanno quegli/lle Alcuni/e. La superiorità della razza ariana per esempio, è una mistificazione, un qualcosa di inventato, che voleva essere fatto passare per qualcosa di reale allo scopo di ottenere determinati risultati. La qual cosa non è applicabile al concetto di unità d'Italia.
Ebbene, cari e care Alcuni/e, io non la penso proprio così.
Per spiegarvi al meglio qual è la mia posizione rispetto alla tanto decantata unità d'Italia, prendo in prestito le parole di Marco Binotto, ricercatore e professore aggregato presso la facoltà di Scienze della Comunicazione dell'università di Roma La Sapienza. Scrive l'autore: “L'appartenenza ad una nazione non è solo attribuibile alla semplice condivisione di uno stesso spazio culturale o di un simile sistema di idee, segni o lingua. Essa si fonda anche su una simile appartenenza alla stessa identità […] Tale riconoscimento reciproco, la comune appartenenza, è costruita grazie ad un'opera immaginativa, creativa. Come per le nostre storie personali fin da bambini vittime dell'oblio della memoria, la storia, l'identità, delle nazioni «proprio perché non può essere 'ricordata', va raccontata» (Anderson B., 1991, 227). Se, come ricorda Etienne Balibar, la «storia delle nazioni […] viene sempre presentata sotto forma di un racconto che attribuisce a esse la continuità di un soggetto. La formazione della nazione appare così il compimento di un 'progetto secolare', segnato da tappe e prese di coscienza […], ma che comunque sono iscrivibili in uno schema identico: la manifestazione di sé della personalità nazionale» (Balibar E., 1988, 96). In sostanza, la storia nazionale, come tutte le narrazioni (mitiche) è teleologica. Descrive un destino naturale, e insieme un'intenzione, un progetto realizzato necessariamente. Il passato viene rievocato retrospettivamente conoscendone già la fine e rileggendone il corso in funzione di quel risultato. I suoi successi mettono in rilievo le sue ragioni, le sconfitte diventano semplici battute d'arresto nel comune e lineare cammino. Tale narrazione non solo accompagna la formazione immaginaria della società nazionale-statale, ma contribuisce alla costruzione del suo «popolo». Il modo in cui il popolo produce se stesso in termini di unità è la fonte del potere politico. Questa istituzione può avvenire solo costruendo un'identità, un sé contrapposto, o meglio costruito nel contrasto con un 'di fuori', un «altro generalizzato» (Mead G. H.). «Deve divenire una condizione a priori della comunicazione tra gli individui (i 'cittadini') e tra i gruppi sociali, senza sopprimere tutte le differenze, ma relativizzandole e subordinandole a sé, in modo che la differenza tra 'noi' e gli 'stranieri' abbia il sopravvento e sia vissuta come irriducibile». In modo da trasformare le frontiere della personalità individuale in «frontiere esterne» (Fichte) di una personalità collettiva, così da percepire i luoghi dello stato come «casa propria».” (Colella F., Grassi V., a cura di, 2007, “Comunicazione interculturale”, p. 81-82).
Mi scuso subito per la lunga citazione, ma credo che illustri dei punti molto importanti per l'argomento che sto qui affrontando. Intanto, a quanto pare, il discorso sull'unità nazionale, per l'autore, ma anche per gli altri da lui citati, è un atto di creatività, un qualcosa che nasce perché una collettività di persone ha immaginato che così dovesse essere, proprio come per il concetto di razza ariana. L'unità di una nazione, l'esaltazione della propria patria, del percorso storico che ha portato alla sua costituzione, sono eventi il cui senso è costruito socialmente, non sono elementi naturali dai quali non si può prescindere. In effetti, chi è che ha deciso quali devono essere i confini della nostra nazione? Non sono mica naturali. Affatto. Essi, come i confini di qualsiasi nazione, sono stati decisi o a tavolino, o da sanguinose guerre che hanno mietuto innumerevoli vite umane. E non sono stati sempre gli stessi per di più. Si legge nella biografia di Giuseppe Garibaldi che è nato a Nizza. Dunque non è italiano? No, risponderà qualcuno, Nizza è una città francese. Sì, risponderà qualcun'altro, nel 1807 Nizza faceva parte dell'Italia...o meglio, l'Italia ancora non esisteva...faceva parte della Repubblica di Genova, quindi è italiano. Il buon Martellone invece risponderebbe “E 'sti cazzi!” Io mi associo a lui. In effetti questi confini sembrano qualcosa di abbastanza arbitrario, per cui però delle persone muoiono o ne fanno morire altre. Qualcuno/a potrà obiettare che essi sono il prodotto di un processo storico. Assolutamente sì. Ma anche Berlusconi primo ministro da svariati anni è il prodotto di un processo storico. E forse per questo dovrebbe stare bene ed essere accettato da tutti e tutte? Non mi pare.
Certo, chi è che non si è appassionato al Risorgimento italiano quando lo si studiava a scuola? Veramente, proprio come si legge nelle righe su citate, viene presentato con la narrazione di un destino mitico che non poteva fare a meno di compiersi. Pensiamo ai sentimenti su cui Benigni a Sanremo ha tentato di far leva nella sua esegesi dell'inno d'Italia e dei protagonisti del Risorgimento: Garibaldi, Mazzini, ecc. Erano i miei eroi storici preferiti quando andavo a scuola. Ho fatto le tesine d'esame, sia alle elementari che alle medie, sul Risorgimento italiano. Questi personaggi avevano combattuto ed erano morti per un'ideale, per fare in modo che oggi noi potessimo celebrare...che cosa? La Patria? L'Italia unita? Ma se le battaglie fossero andate in un altro modo? Forse oggi celebreremmo qualcos'altro. Ma a questo quando si va a scuola non ci si pensa, o forse non ti ci fanno pensare.
Scusate se non credo nella patria, se non credo nelle nazioni, se non credo nei confini. Proprio non ci riesco. Credo siano solo concetti arbitrari che vengono fatti passare per necessari e inevitabili, ma che sono invece tutt'altra cosa. Come scrive Binotto, sono la fonte del potere politico. E per di più sono qualcosa di dannoso, perché ci fanno percepire chi è fuori come uno/a straniero/a, perché non appartiene alla nostra nazione; qualcosa che ci rende più leggera la notizia di una tragedia aerea perché non ci sono vittime italiane, o che ci fa fare minuti di silenzio per militari italiani/e morti/e in "missioni di pace" e sbadigliare alla notizia dell'ennesima strage in Palestina; qualcosa che, insieme alla religione e ai soldi, è la concausa della maggior parte delle guerre che ci sono nel mondo. Qualcosa in cui ci dicono di credere in modo che anche noi possiamo schierarci a difendere il potere costituito.
Perciò miei cari Lettori e mie care Lettrici, Vi prego di non scandalizzarVi se un nobile cavaliere come me, un visconte, il tricolore non lo porta nel cuore..
Buon 17 marzo a tutti e tutte.

2 commenti:

  1. Beh caro Visconte Dimezzato, il tema che hai posto è veramente un dilemma, una domanda aperta a cui più volte in questi giorni mi è capitato di pensare. Per come la vedo credo che sia ovvio che ognuno decida in base al proprio senso o bisogno di identità di appartenenza se scegliere questa come tante altre occasioni per identificarsi con la massa, con un ideologia e con l'identità che questa propone...le citazioni sarebbero tante e io a differenza tua non sono così abile da prenderle direttamente dai testi. Però,e dimmi cosa ne pensi, credo che qualcuno che abbiamo studiato entrambi ne abbia parlato parecchio studiandolo come un fenomeno particolare ma anche naturale per certi versi. Penso a "Psicologie delle masse e analisi dell'Io", forse sbagliando visto che non l'ho ancora letto..
    L'altra cosa che mi veniva in mente, così in associazione sia di argomento che di letture fatte di recente è Zygmunt Baumann e la sua analisi della società moderna, che definisce "liquida". Per quel poco che per ora posso dire al riguardo tra i tanti significati da lui proposti io ci vedo anche la necessità di dover dare dei confini, dei contenitori, degli spazi a quell'individualità che da sola potrebbe prendere le forme più disparate.. forse ansia se la vedi da un punto di vista individuale? o magari anarchia da un punto di vista politico?
    Ma la cosa che più mi interessa da un punto di vista culturale credo che sia quella creatività che è alla base di un intenzione, in questo caso di identità nazionale...non è che forse si ritorni su un piano soggettivo? magari condiviso da altri.. l'amore di un qualcosa che accolga. Secondo me, senza avere troppa fiducia nella mia memoria, Mazzini che ho sempre visto come l'idealista tra quelli che avevano pensato ad un'Italia unita, è quello che più si può avvicinare ad un'idea del genere..per gli altri protagonisti, Cavour e Garibaldi non lo credo.
    Cmq ritengo che la questione rimanga aperta e dalla mia proporrei una festa in onore di Mazzini, a cui è stato dato prosaicamente il cetriolo ed il nome a qualche piazza e via nelle nostre città..

    RispondiElimina
  2. Caro il mio Visconte,
    solo alcune note a margine.
    Quando parli del Risorgimento come "narrazione" hai perfettamente ragione, secondo me.
    Il problema è che non può essere altrimenti, secondo me.
    Tutte le Storie, personali e comunitarie, sono "narrazioni", perché non servono solo a spiegare come siamo arrivati a un certo punto, ma anche il "senso".
    Certo è importantissima la ricostruzione della realtà storica per capire la realtà e cercare di risolverne i problemi. Ma non c'entra con anniversari e festeggiamenti. E il "senso" che da il Risorgimento, credo, sia un bel senso, come ammetti anche tu, mi pare.
    Il fatto che sia una interpretazione dei fatti accaduti non inficia la sua importanza. Il fatto che i miti non siano reali materialmente non li rende meno "veri".
    E per quanto riguarda il problema dei confini, della patria come concetti arbitrari sono d'accordo. Essi sono arbitrari nella definizione (la mia patria è l'Italia o l'Europa? O il Mondo?) ma non nel loro bisogno. Il concetto di confini e di straniero è imprescindibile dalla nostra natura, visto che siamo animali territoriali. Ma in tutte le culture antiche l'ospite (che era straniero) era sacro. Essere patrioti, non deve significare per forza attaccare lo straniero, può anche significare voler bene al posto in cui si sta e cercare di farlo funzionare al meglio, di rispettarlo. Con gesti che vanno dal lasciare pulite le strade, i parchi, ecc. ecc. al praticare politiche di integrazione, a combattere la criminalità a rispettare i simboli. Essere patriottici può significare che quando si coprono posti di responsabilità pubblica non se ne abusa perché non è il potere che è al mio servizio ma mi viene dato il potere per servire la patria, o il popolo se preferisci, ma dovrebbero essere sinonimi.
    E parlando del concetto di nazione, di confini di lotta all'invasore, di patriottismo perché non pensiamo a Gandhi? E perché non leggiamo gli ideali del risorgimento (chiaramente non la lotta violenta, ma le motivazioni, e gli ideali) anche alla luce dei suoi scritti?
    Spero di aver aggiunto qualcosa di interessante su cui si può continuare la riflessione.

    P.S. Spero che non ci siano errori di ortografia. Se ci sono mi auguro che mi perdonerai e non te ne vergognerai! ;) :D

    RispondiElimina

Creative Commons LicenseI testi e le immagini, salvo dove diversamente indicato, sono opera de "i Baroni Rampanti" e sono concessi sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 2.5- Italia.