Agosto
2005: sotto la pioggia battente di Città del Guatemala, attendiamo
di prendere l'ennesimo traballante pick-up, che ci porterà da una
parte all'altra della città. Sotto una tettoia ci viene incontro una
bambina coi capelli corvini, che ci guarda coi suoi intensi occhi di
brace. Scambiamo qualche parola in uno spagnolo stentato, quanto
basta per farci capire ed ingannare così l'attesa. È una bimba di
etnia maya, che padroneggia poco lo spagnolo, destreggiandosi molto
meglio nella sua lingua, per noi incomprensibile, di schiocchi e
suoni gutturali. Dopo poco ci chiede da dove veniamo. «Conosci
Roma?» le chiediamo; ci risponde con un dubbioso: «No!». Che
strano, abbiamo pensato, non avevamo mai incontrato una persona che
vivesse così lontana da non conoscere Roma. Forse eravamo davvero
"quasi alla fine del mondo"!
Marzo
2013: ecco che a distanza di otto anni la stessa sensazione mi
coglie, ascoltando le prime parole del neoeletto vescovo di Roma, che
mi riaprono finalmente gli occhi. Allora mi rendo conto che dopo anni
in cui ci siamo abituati a guardare i nostri piccoli guai come se
fossero i problemi universali, non ci siamo accorti di stare roteando
intorno al nostro ombelico, mentre fuori tutto continuava ad
evolversi autonomamente. Mentre qui la prima pagina dei giornali era
occupata da "nani e ballerine" parlamentari, o da strani
nuovi orpelli riesumati dalle sagrestie papali, nel resto del mondo
ci si scontrava coi problemi veri della politica internazionale,
della povertà, della guerra.
Credersi
la Città Eterna, Capitale Imperiale e Papalina, ci ha chiuso gli
occhi a tal punto da non vedere più il nostro atavico
provincialismo!
Che
ci possa salvare un bagno d'umiltà? Che basti regalare al
trilussiano "popolo fregnone" un novello Francesco? Detto
fatto, ecco che l'effige del Poverello d'Assisi viene nuovamente
cavalcata dalla curia, che affida nuovamente a lui la salvezza della
Chiesa, sperando di risollevare, con lui e grazie a lui, che sostiene
inevitabilmente anche i cattivi insieme ai buoni, tutto un baraccone
che forse era meglio far affondare. Il potere è diabolicamente
autoconservativo.
Ma
se Trilussa parla così di noi romani non ha tutti i torti, perché
io di sentire il nome di papa Francesco sono stato contento davvero!
Contento
perché era da otto anni che attendevo di sentire proprio quel nome;
o almeno un nome nuovo, che non odorasse di secoli andati e polverosi
riti (mi perdonino il pacifista Benedetto XV e l'artistico Benedetto
XIV, non ce l'ho certo con loro!). Erano otto anni che speravo di
vedere su quel balcone un volto nuovo, magari apparentemente semplice
ma colto. Erano otto anni che attendevo un papa che sembrasse una
persona, non un manichino di Prada. Ma soprattutto, erano otto anni
che attendevo un gesto di discontinuità da un papato troppo lungo,
troppo invadente, troppo doppiogiochista, troppo teatrale, troppo
plateale.
Ci
sarà davvero questa discontinuità? Ripenseremo un cattolicesimo
post conciliare di ampio respiro? Verrà riaperto il processo di
beatificazione di MonseñorRomero? È presto per l'ottimismo, ma qualche segnale di speranza lo
intravedo. Forse è troppo immaginare che i cardinali abbiano giocato
a pallavolo nel tempo libero, ma forse li si può immaginare
finalmente con un sorriso autentico, come fossero delle persone.
E
mi torna in mente il sorriso della bambina scalza, che sotto l'acqua
incessante scambiava qualche battuta con stranieri curiosi, venuti da
troppo lontano.
Ci sono dei momenti della storia in cui la Chiesa cattolica è capace di stupire, infrangendo schemi consolidati e introducendo comportamenti nuovi e inattesi.
RispondiEliminaFu così quando Pio XII si recò nel quartiere di san Lorenzo devastato dai bombardamenti; quando Giovanni XXIII si recò in visita ai detenuti a regina Coeli e quando convocò, a sorpresa, il Concilio.
Quando Paolo VI, pochi mesi prima di morire, scrisse una lettera agli “uomini delle Brigate rosse” supplicandoli di liberare senza condizioni il suo amico di sempre Aldo Moro.
Quando Giovanni Paolo I parlò di Dio come madre; quando Giovanni Paolo II chiese perdono per gli errori e le colpe della Chiesa nei secoli.
Quando Benedetto XVI ha rinunciato al pontificato per il bene della Chiesa.
Quando i cardinali hanno scelto Bergoglio che ha deciso di chiamarsi Francesco e ha inaugurato il suo pontificato chiedendo la preghiera del popolo su di sé e facendo scendere il silenzio su piazza san Pietro gremita di fedeli.
Forse è proprio grazie a questi gesti inattesi, alla capacità di stupire, che la Chiesa, nonostante gli scandali e le tante oscurità, mantiene il suo ruolo di lievito dell’umanità.
La capacità di stupire: quello che i credenti chiamano, nei secoli, il soffio dello Spirito.
monna lisa