«L'inferno
dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che
è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo
stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce
facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto
di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed
apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in
mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.»
...e
farlo durare, e dargli spazio ... e farlo durare, e dargli spazio...
Tutte
le volte, l'ultima frase di un libro riecheggia nel silenzio della
mia testa ancora qualche secondo. Le parole sono quelle che Marco
Polo dice al Gran Kan, attraverso la penna di Italo Calvino, nelle
Città invisibili. Non è solo un'eco che mi rimbomba in testa, ma è
un monito, quasi una preghiera che Calvino lascia al suo lettore. In
che modo affronti l'inferno? Riesci a distinguere l'inferno da ciò che non
è inferno?
...e
farlo durare, e dargli spazio...
Venerdì
ho terminato la mia supplenza e ho salutato le mie classi. Tre classi
numerose, problematiche; ragazzi di periferia di prima, seconda e
terza media. Come al solito, si tratta di ragazzi che avrebbero
bisogno di molte energie, ai quali si riesce a donarne poche. I volti
mi restano ancora in testa come le ultime parole di un libro, prima
di venire archiviati nel settore “ricordi” della mente. Eppure un
volto non è una fotografia: il ricordo diventa memoria se accanto ad
ogni volto ci sono domande, storie, questioni che ti mettono in
crisi. Difficile fare l'insegnante in questa maniera: è un modo
rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui.
La
classe più faticosa è stata la seconda ed è stata quella da
cui ho imparato di più. «Professore, resti al suo posto. Professore,
chi si crede di essere? Professore, lei questo non lo può fare...» Un
faticoso percorso ad ostacoli, durato due mesi. L'inferno: nello
sguardo delle ragazzine polemiche, nelle volgarità pesanti dei
bambinetti, nelle cattiverie tra compagni e nella resistenza alla
scuola.
Un
po' come nella Bella addormentata, sono entrato nella loro foresta di
rovi e sono arrivato a vedere la principessa addormentata, ovvero ciò che
non è inferno in mezzo all'inferno, e ho fatto leva su quello per
impostare il lavoro. Con rammarico e delusioni, dapprincipio, ma poi con
soddisfazione. Al punto che ieri sono riuscito a spiegar loro la meccanica
quantistica e il principio di indeterminazione di Heisenberg!
...e
farlo durare, e dargli spazio...
La
classe prima la augurerei a qualsiasi insegnante, per l'entusiasmo e
l'affetto che dimostrava. Un solo difetto: 26 ragazzi in 30 m2.
Tra di loro, ragazzi con problematiche familiari, sociali, di
apprendimento... ma ragazzi espressivi e curiosi.
Ieri
la ragazza con sostegno era in lacrime, perché per raggiunti limiti
di sopportazione aveva trasceso e aveva dato due schiaffi ad una
compagna che la prendeva in giro. Si erano chiarite, scusate, avevano
fatto pace... ma poi una frase: “lo sai che ti sospenderanno?”.
Un'altra ragazza, con una malizia sofferente nello sguardo, con
quella frase intendeva forse trascinare nel proprio dolore quotidiano
anche qualcun altro; forse nella speranza di salvarsi, forse per
rabbia, forse semplicemente per non sentirsi sola. Una bambina
abituata a vivere un personalissimo inferno non sa riconoscere ciò
che non è inferno. È compito dell'insegnante, che deve aiutarli a
discernere, a riconoscere ciò che nella vita non è inferno: l'unico
loro possibile nutrimento.
...e
farlo durare, e dargli spazio...
In
classe terza ho avuto la soddisfazione e la delusione più grandi.
Una classe faticosa, piena di elementi difficili. Un ragazzo che al
compito di recupero aveva preso 1, nel mio primo compito in classe ha
preso 7 e mezzo. Un ragazzo abituato a percepirsi come inutile e
pigro, insieme a me ha trovato delle motivazioni per lavorare e per
esprimersi, facendolo nei modi migliori.
C'è
un altro ragazzo che avevo preso sotto l'ala protettrice (ogni
insegnante ha i suoi “preferiti”!) si è fatto sopraffare dal
proprio inferno personale, enorme, nero doloroso. Un inferno fatto di
abbandono e rifiuto da parte dei genitori. Un inferno fatto di
immigrazione dalla Romania e un'emarginazione in Italia. “Voglio
fare l'idraulico”, mi rispondeva con fierezza quando gli domandavo
del suo futuro. La fiducia che aveva trovato in me lo sollevava un
poco dalle sofferenze quotidiane. Stava prendendo voti decenti, stava
venendo a scuola con un briciolo di serenità in più. Fino a che ho
trovato una sua manomissione su un compito che avevo già corretto. Gli ho
dato la possibilità di confessare, di tornare sui propri passi, ma
non l'ha fatto. Gli ho annullato il compito, ma non l'ho sospeso, non
gli ho messo note; tuttavia gli ho fatto capire di aver perso la cosa di cui forse
aveva più bisogno: la mia fiducia. L'ha capito e ha reagito come un
leone in gabbia: scalpitava di rabbia. Non mi ha salutato, era
triste, amareggiato, deluso. L'ho visto asciugarsi gli occhi, gonfi
di delusione.
Il
suo volto me lo trascinerò sempre con me. Gli ho detto che mi
dispiaceva com'era andata l'ultima settimana. Vorrei ancora stargli
vicino ed aiutarlo a ritrovare quella luce che aveva solo intuito in
questi mesi.
...e
farlo durare, e dargli spazio...
...e
farlo durare, e dargli spazio...
...e
farlo durare, e dargli spazio...
...e
farlo durare, e dargli spazio...
quanta partecipazione nelle tue parole... penso che si possa dare spazio al non-inferno quando si riesce in se stessi ad essere non-inferno, quando si impara a gestire la propria rabbia-dolore-impotenza senza farsene trascinare e soprattutto senza scaraventarla sugli altri... allora si diventa specchio del non-inferno degli altri, si diventa catalizzatori di positività, che non vuol dire non soffrire e non far soffrire, vuol dire solo non consentire alla sofferenza di colonizzare tutta la vita, non consentirle di allargare la sua ombra fino a coprire tutto, vuol dire lasciar fuori ambiti di umanità, di creatività, anche di allegria che possono farci vivere un poco meglio.
RispondiEliminamonna lisa