Fabrizio De André, quando gli chiedevano se preferiva definirsi
cantautore o poeta, citava Benedetto Croce: «Fino a diciotto anni tutti
scrivono poesie; dopo, possono continuare a farlo solo due categorie di
persone: i poeti e i cretini». Con la poesia non ho mai avuto un rapporto
facile, tuttavia davanti a certi eventi è più faticoso tacere che esprimere
quello che si ha dentro. La razionalità la immagino come un argine che
disciplina il fiume delle emozioni, ma a volte il flusso è talmente impetuoso
che anche chi non è poeta (o scrittore, o pittore...)
non può fare a meno di lasciarlo andare così come viene. Ero poco più che
diciottenne -per l'appunto- quando un'onda di piena mi travolse: le cronache
del G8 di Genova. Mi ritrovai, come tutti, in un turbinio di emozioni, ma
ancora di più mi sembrò sin da subito si fosse segnato uno spartiacque
definitivo per tutti noi cittadini d'Europa: se la caduta del Muro di Berlino
ci aveva fatto rinascere, quegli eventi ci fecero uscire dall'innocenza
infantile, lasciandoci, sulle prime, atterriti. Ad oggi sono vent'anni che ho
la sensazione di stare raccogliendo i frantumi di quello che è stato e ricomporli per costruire qualcosa di nuovo; per non
dimenticare, rileggo quello che scrissi allora, da poeta o da cretino.