In uno spazio sospeso tra l’attività e il riposo è il tempo,
sovrabbondante e insufficiente, ad entrare in una dimensione ambigua, in
transito verso una meta incerta: è un tempo di attesa.
È un tempo sospeso ma sovraccarico, di lontananza e vicinanza,
di rapporti e solitudini. È un tempo di relazioni virtuali, chiacchiere disturbate,
immagini disturbanti, sguardi sfuggenti (guardo il monitor o la fotocamera?), tocchi
immaginati, simulati, senza profumi, senza sapori. È un tempo di concentrazione
distratta, di parole vuote, di suggestioni. È un tempo di attesa.
È un tempo dominato dalla tecnica di dispositivi insostituibili,
ineludibili, inadeguati. È un tempo di batterie scariche, di connessioni
instabili, notifiche, squilli, vibrazioni, portali inaffidabili, inefficienti,
insicuri. È un tempo di visualizzazioni sfocate, pixelate, sgranate, di audio
interrotti, voci tremolanti, singhiozzi finti, generati da problemi di
trasmissione, di ritardi, di immagini bloccate. È un tempo di persone
irraggiungibili, indisponibili, inarrivabili, immobili, inquiete. È un tempo di
attesa.
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