Nel 2019 il sindaco di Desio Roberto Corti precisò che il 25 Aprile «non è un derby tra questo e quello, e soprattutto non è un giorno di festa a tema libero. Chi lo dice, nega o ignora la storia ma soprattutto offende la memoria di chi ha perso la vita per la libertà, offende le istituzioni, offende il popolo italiano». A chi vuole invece mistificare la celebrazione della Liberazione d’Italia dalle forze nazi-fasciste, vedendoci una contrapposizione tra due sole forze, domando: che colore aveva davvero il “fiore del partigiano”?
Il BIANCO,
come le brigate cattoliche, che insieme a molti membri del clero si erano adunate
in nord Italia contro le violenze dei miliziani della Repubblica di Salò, e che
in Carnia e in Val d’Ossola riuscirono a costruire i primi piccoli modelli di
Italia repubblicana in un paese occupato.
Il VERDE,
come le Fiamme Verdi, un sottogruppo di partigiani cattolici guidato da
personalità che avrebbero avuto un ruolo determinante nella fondazione
repubblicana del Dopoguerra (uno su tutti Enrico Mattei).
L’AZZURRO,
come i monarchici badogliani, cattolici conservatori di destra, piemontesi e
fedelissimi alla Corona sabauda, che vedevano in Umberto II la guida per
ricostruire il Regno d’Italia dopo la Guerra.
Il NERO,
quello dei partigiani d’oltremare, etiopi, somali ed eritrei, accolti nel Battaglione
Mario, gruppo a vocazione internazionalista.
Il ROSA,
quello delle migliaia di partigiane che combatterono insieme agli uomini sulle
montagne e nelle città, rivestendo ruoli più diversificati e spesso correndo più
pericoli dei loro compagni maschi.
Tutti
quelli della variopinta galassia di gruppi e movimenti autonomi che lottarono
in maniera più o meno coordinata contro l’oppressore nazi-fascista, da nord a
sud.
C’erano
alleanze e rivalità, possibilità di accordo e momenti di scontro, sospetti, fraintendimenti
e spesso una gran confusione su come organizzare la nazione che sarebbe sorta
dalle ceneri della guerra e della dittatura: quali confini, quale ordinamento,
quali alleanze poteva avere? Le contrapposizioni sono state anche violente, ma,
come ci viene insegnato, la rivoluzione non è un pranzo di gala e non si fa con
coltello e forchetta. Su una cosa sola erano tutti concordi: erano
antifascisti.
L’Antifascismo
perciò appartiene a tutte le forze democratiche. Nell’Antifascismo c’è spazio
per tutti, da destra a sinistra, perché Antifascismo è sinonimo di democrazia. Nel
Fascismo c’è stato spazio solo per chi si dichiarava fascista: gli altri hanno
fatto una brutta fine. Nello spazio democratico antifascista, paradossalmente, fin
quasi da subito c’è stato posto persino per le forze neofasciste, che invece hanno
continuato ad avvelenare il dibattito pubblico, sputando nel piatto dove
mangiavano, invocando una libertà di parola a cui hanno avuto pieno accesso
senza avere in realtà mai fatto nulla per meritarla, mentendo e mistificando la
narrazione storica. Eppure sono ancora là, in nome di una libertà di espressione,
che riesce a garantire parola anche a chi la usa per scopi illiberali. Ecco
perché l’Antifascismo è diventato garanzia per tutti, anche per quelli che in
un contesto differente forse non avrebbero goduto della stessa dignità.
Buona Festa della Liberazione a tutti e tutte.
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